GLI ANNI '30: GENOVA, MILANO, ROMA
Il matrimonio (1929) con Giorgio Zaccarian, colto bibliofilo, laureato a Ca’ Foscari in Economia e Commercio, smuove la pittrice dal suo ambiente veneziano, culturalmente un po’ stantio. Gli spostamenti, per ragioni di lavoro del marito, prima a Genova e poi a Milano, il momentaneo ritorno a Venezia e quindi, nel 1933, il definitivo trasferimento a Roma devono essere serviti a una sorta di giro d’orizzonte più largo dell’ambito lagunare. Si nota subito un certo qual cambiamento, nel senso che la pittura si fa più soda, ben strutturata, persino plastica, pur senza perdere la felice gestualità del tocco veneziano.

Ad esempio, La fiera di San Lorenzo a Genova del 1930 ha un tono più incupito, tipico del seicentismo ligure, anche se la pennellata è ben sciolta e fluida; ma in Genova. Biancheria al vento, dipinto anch’esso nel 1930, la “venezianità” è evidente non foss’altro che per quel finissimo tessuto di mezzi toni entro un’aria che scorre briosa, quasi un vento mattutino.



Genova. Biancheria al vento - 1930
Olio su cartone - Roma, Collezione dell'artista





A Roma negli anni Trenta il panorama era variegato. C’era la cosiddetta Scuola romana (ma il termine invalse più tardi) con Scipione, Mafai, la Raphael, e tutti gli artisti più o meno vicini: da Cavalli a Capogrossi, da Ceracchini a Donghi, da Francalancia a Cagli, da Gentilini a Broglio, da Melli a Pirandello. [...]
Fiore Zaccarian si avviò ad uno spigliato naturalismo, che le appariva forse il modo più giusto per continuare il gusto veneziano, cui si sentiva legata. Non frequentò mai in senso stretto i circoli e i salotti degli artisti: era una donna pragmatica, che dipingeva al di fuori delle elucubrazioni estetiche e delle ideologie del momento. [...]
Il suo procedimento era, in realtà, di tipo veneto, nel senso che partiva sempre con una visione d’insieme della composizione basata sulla distribuzione generale dei colori più che sull’architettura dei segni. Lavorava molto nell'alternanza di toni e di timbri, cioè giocando sui contrappunti. Ma non si può dire che avesse una sua maniera precostituita: sceglieva semmai la tecnica esecutiva secondo il tipo di soggetti che aveva davanti, abbandonandosi spesso al gusto dell’abbozzo, del “non finito”, addirittura lasciando in certe parti il fondo soltanto con la sua preparazione di base.









Contadina lombarda - 1932
Olio su cartone - Bassano del Grappa, Museo Civico



Il dipinto [Contadina lombarda - 1932] fu esposto nel 1946 a Roma col titolo di Vecchia operaia ed è pervenuto al Museo di Bassano nel 1996. [...]
Il volto della contadina in primo piano è robusto e grinzoso. La luminosità del colore ha lasciato lo spazio alla corposità della materia che accentua i tratti espressivi dello sguardo di questa donna. [...]
L’influenza di Ettore Tito, del Milesi, ma anche della tradizione pittorica lombarda, rimandano a un realismo alla Cerruti, sottolineato nelle pieghe del volto e delle mani della contadina.



La figlia dell’ortolano
Una ragazza, aiutante di famiglia, è ritratta sul balcone di casa, appoggiata alla ringhiera metallica del terrazzo, con uno sfondo di cielo e di fiori invasati. [...] Riflessi luminosi colpiscono la spalla e le pieghe della camicia accentuando la bellezza della ragazza, il cui ritratto è stato realizzato con rapide pennellate senza imprimere colori nella parte bruna del cartone. Il senso del movimento è stato ottenuto anche attraverso la resa minuziosa delle pieghe della veste eseguite con molta perizia.

Questa capacità di cogliere l’ “atmosfera” di un ambiente non è mai stata legata - lo ripetiamo - a preconcetti stilistici. Basti confrontare due splendide vedute: quella di Roma. Il Foro (1936) e quella notturna di Roma. La pizzeria Sant’Ignazio (1954). La prima ha una luce diffusa di tono crepuscolare, vicina al cosiddetto tonalismo romano (e curiosamente affine a certe simili interpretazioni di un altro veneziano romanizzato come Ferruccio Scattola); la seconda, anche per gli effetti delle lampade della pizzeria in primo piano, ha qualcosa del luminismo veneziano (tintorettesco) con quel gusto, un po’ scenografico, dei bagliori improvvisi su un fondo tutto vibrato, sfrangiato, quasi fantomatico.




Roma. Il Foro - 1936
Olio su tela - Roma, Collezione dell'artista





Roma. Il grande cupolone da Tor Millina - 1939
Olio su cartone - Roma, Collezione dell'artista

Forse il capolavoro degli anni Trenta romani è il cartone Roma. Il grande cupolone da Tor Millina (1939): pervaso da un ritmo tutto mosso, apparentemente agitato ma ben coordinato, quasi una fuga (depisisiana?) verso quel punto di congiunzione col cielo nuvoloso che è appunto il cupolone di San Pietro.
Qui segno e colore, fuga prospettica e atmosfera, toni ocrati e azzurrini si fondono magnificamente.

Il gioco della luce solare e dell'ombra ritorna in questo cartone con particolare insistenza. La sequenza dei piani di scansione, tradizionale espediente scenografico, introduce uno splendido e divertente spettacolo di colori, e soprattutto la parte inferiore è un trionfo di luci colorate. Il risultato generale è una composizione molto delicata, quasi cristallina, con effetti sobri e certamente freschissimi.





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